…dedicato a chi pensava che fare l’alberghiero fosse da “serie B”


Come ogni anno, l’altro ieri (lunedì 10 febbraio) ho fatto la mia solita capatina ad Identità Golose (un importante congresso di cucina che si svolge da 10 anni a Milano). E, sentendo lo chef Massimo Bottura parlare di cucina e filosofia di lavoro ad una platea rapita, mi  è venuto da pensare.

foto 1Ho ripensato a chi mi prendeva per matto quando, pur sconsigliato dai miei docenti di scuola media, ho deciso di andare all’alberghiero. “Sei troppo portato nello studio per fare l’alberghiero, non ti dicono niente i tuoi?” oppure “che peccato, eri così studioso… vai a fare solo l’alberghiero…” e anche “ah, tu che ne avresti la possibilità, avresti dovuto laurearti e fare strada…”.

foto 5Bene. A (ormai) 15 anni da quando presi l’indirizzo alberghiero, 10 anni finita scuola e dopo 4 anni di lavoro in proprio, posso dire di non aver rimpianti.

Certo, è naturale che non tutti gli studenti che vanno all’alberghiero la pensino come me. Ma questo vale per qualunque scuola, dai licei all’agraria. Questo perché si è obbligati dal sistema ad andare a scuola e chi non vuol studiare cerca la scuola meno impegnativa.

IMG_0524Fare l’alberghiero è sicuramente meno impegnativo di un classico o una ragioneria, ma non per questo dev’essere preso alla leggera. Se si segue seriamente, se si aprono i libri, se si studia scienze dell’alimentazione, inglese e francese, diritto ed economia… Si avranno le migliori basi, per una grande carriera. IMG_6709

Perché fare il cuoco è cultura. Ma non la cultura POP di chi sta in televisione e non in cucina. Intendo la cultura vera. Quella che tramanda tradizioni, studia piatti gustosi per non far morire prodotti che la massa non consuma perché difficili da cucinare o sgradevoli se preparati male, o difficili da reperire. Come ha detto Massimo Bottura (lo chef Italiano più stimato internazionalmente) sul palco ad Identità “Opero per salvaguardare questa realtà dando lavoro ad artigiani contadini, così garantisco una memoria storica per i nostri figli, per dare loro il visibile e l’invisibile, la memoria, il passato che può essere anche criticato e contestato”. 

Io ho la fortuna col mio catering di fare piccoli numeri, quindi lavorare con la qualità. Per me, portare a lavoro il riso della mia Lomellina, è un vanto. Usare la carne di maiale dei porcilai a me vicini, macellati con cura dal mio macellaio di fiducia, è un piacere. E non voglio fare il facilone con la “filosofia del gusto” e coi “cuochi che ora sono tutti degli artisti”. In giro c’è chi lavora male purtroppo. Chi lavora con il peggio delle materie prime e senza seguire le giuste procedure. Sta ai clienti giudicare. Noi cuochi viviamo nel giudizio.

foto 4Quindi, perché non si vive il mestiere del cuoco in modo meno stereotipato. Non esistono solo ChefStar di TV e cuocacci. Esistono tanti bravi professionisti, formati in alberghieri con budget risicati e che guardando meno al portafogli e più al futuro, fanno sacrifici, fanno gavetta ed imparano bene il mestiere.

foto 2Mettiamo da parte le sirene della televisione, i cuochi ora sembrano i più fighi del mondo, ma fino a poco fa, eravamo degli scoppiati senza famiglia che non avevano voglia di studiare da giovani.

Beh, sappiate che di ragazzi in gamba, ogni anno, dall’alberghiero, ne escono in discreto numero (sempre troppo basso rispetto a chi non prosegue). Però ci siamo. E lottiamo per il bene della nostra cucina. E se non conosciamo le declinazioni in latino, ci scuserete, ma sicuramente, molti di noi sanno come preparare qualcosa di buono senza rovinarne i princìpi nutritivi e fare del bene non solo al vostro corpo, ma anche al vostro umore.

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7 Comments

  1. Ciao! Giungo al tuo blog perché questo articolo è stato linkato da Paolo Marchi e vedendo la parola “alberghiero” accanto a “serie B” mi sono fiondata a leggere 🙂
    Anche io ho fatto l’alberghiero e anche io ho incontrato persone che mi dicevano “ma no, sei portata per lo studio, non fare quella scuola lì”, persone convinte che noi, lì dentro non facessimo nulla, che non studiassimo niente, che non fossimo in grado di far altro al di fuori di pelar patate (c’è anche chi mi ha chiesto se alla seconda prova alla maturità la materia era “pizza” figuriamoci…). E la colpa per me è da attribuire agli orientamenti cui si sottopongono i ragazzi che devono scegliere cosa fare del proprio futuro: troppo comodo dire “se sei studioso vai a fare il liceo, se non hai voglia di far nulla vai a fare l’alberghiero”, troppo comodo (e scorretto) dividere in serie a e serie b le scuole, senza far capire ai ragazzi che qualunque sia la scelta, devono impegnarsi, perché nella vita solo chi si impegna con dedizione e passione va avanti. In un liceo si studia di più, è chiaro, all’alberghiero c’è molta pratica (tutt’altro che slegata dalla teoria, però), ma ci sono anche le materie che caratterizzano qualsiasi scuola statale di secondo grado e se non studi, tutte le materie, ripeti l’anno, esattamente come dalle altre parti: infatti, non so da te, ma nella mia scuola le prime erano stracolme di alunni, che pian piano si decimavano, a partire dalla seconda. Sarebbe così difficile parlare di passioni o interessi invece di dividere i ragazzi in asini e secchioni?
    La tv da un lato ha portato alla ribalta la figura dello chef, che finalmente valorizza un lavoro considerato di serie B per anni, dall’altro lo fa in maniera sbagliata perché come dici tu, fa del cuoco una star senza mostrare l’essenza della professione. Purtroppo la tv è spettacolarizzazione per cui spesso passano messaggi sbagliati e invece di mostrare che ci vuole competenza e passione, tante, troppe volte ci si focalizza sui soldi e sulla fama. Questo è negativo, anche se penso che chi si avvicina a questo mestiere con quello scopo, sbatterà il muso proprio come chi ci si avvicinava perché credeva bastasse il minimo dell’impegno. E’ un settore in cui, secondo me, non si va avanti a calci nel lato b, ma con la gavetta, ed è talmente impegnativo che se non sei appassionato molli. Se posso poi spezzare una lancia a favore dei cosiddetti chef star non credo che sia giusto slegarli dagli altri chef, perché comunque se li si conosce a fondo e non solo attraverso i personaggi che si costruiscono in tv si capisce che anche loro sono professionisti competenti e appassionati.
    Ho scritto un tema, scusa! 🙂 Sei libero di cacciarmi 😀
    Contenta di aver letto questo articolo! A presto!

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  2. Quando ho conosciuto i miei compagni di classe la maggior parte non sapevano nemmeno che scuola avevano scelto, altri perché si dilettavano in cucina e incoraggiati dai genitori hanno scelto questa scuola, e poi quelli che hanno scelto l’alberghiero come ripiego, dopo un penoso fallimento in un liceo; molti vogliono fare cucina, fissati col finger food con piatti “strani ” hanno in testa lo stereotipo di chef televisivo, quando poi in cucina non ci mettono passione, non sanno come si fa la salsa madre ad esempio , altri fissati con il cake design e non sanno fare nemmeno un pan di Spagna, e poi vengono a dire a noi di sala “con sala non fai nulla il cameriere lo fai pure con la terza media” io sono convinta che con la passione si fa tutto, con lo studio, l’etica professionale, la tecnica, la gavetta e la voglia di fare si va avanti. E non ti limiti a fare il “cameriere ” .

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